Sin dai primi anni del Cinquecento in Germania crebbe il desiderio di realizzare, a scopo principalmente venatorio, armi alimentate dall’aria compressa. I pochi esemplari pervenuti ad oggi sono prototipi fantasiosi, bizzarrie legate a questo o a quel nobile eccentrico appassionato di caccia; nulla di applicabile all’esigenza militare.
La sostituzione della polvere nera come fonte di propulsione del colpo con l’aria compressa da molti vantaggi per il tiratore di precisione: anzitutto toglie il rinculo che porta a sbagliare la mira; l’assenza di fumo permette di mantenere lo sguardo sul bersaglio senza che questo possa intanto identificare con precisione la posizione del tiratore, in aggiunta i fumi della polvere nera irritano gli occhi; riduce il rumore che spaventa la selvaggina o avverte un eventuale nemico e, soprattutto, toglie i rischi e le conseguenze dell’uso della povere da sparo sull’arma (sporco, residuo, attacco chimico della canna, rischio di esplosioni accidentali). L’uso di aria compressa permette in aggiunta altri due grandi progressi: la retrocarica che rende più pratico il caricamento anche da posizioni che non siano prettamente quella eretta e la rigatura della canna che migliora la precisione e la gittata -caricare un’arma ad avancarica rigata richiede un notevole sforzo fisico e parecchio tempo-.
Per il tiro militare, in cui all’epoca si prediligeva tanto il rateo delle salve e il volume di fuoco piuttosto che la precisione del tiro, la polvere nera offriva invece alcuni vantaggi: nel fumo i soldati potevano essere occultati agli occhi del nemico tra un colpo e l’altro e il rumore prodotto degli spari innervosiva i cavalli.
La svolta tecnologica venne per mano di Bartolomeo Girardoni, nato a Cortina d’Ampezzo nel 1729 e morto a Vienna nel 1799, un orologiaio. Egli realizzò il primo fucile ad aria compressa, a ripetizione, a canna rigata e a ripetizione mai entrato in uso a scopo bellico.
Il prototipo realizzato dello “Sciopo a Vento” detto anche “Windbüchse” Girardoni (o Gilardoni o Girandoni in base alle fonti) fu del 1779. Si tratta di un fucile ad aria compressa lungo 1,2 metri, del peso di 4,5 kg con il caricatore pieno.
E’ caratterizzato da un serbatoio tubolare, a clava, che nel fucile funge da calcio. E’ in lamina di ferro imbullonata e brasata per garantirne la tenuta. In inverno questo era coperto di cuoio per evitare il contatto con la pelle dei tiratori. Contiene aria compressa fino a circa 800 psi -55 bar che permette al Girandoni di sparare fino a 30 colpi a pressione utile. Il fatto che non abbia forma anatomica non crea fastidi in quanto l’arma è pressoché priva di rinculo.
Il caricatore è tubolare e conteneva fino a 22 palle di piombo sferiche di calibro 0,464 pollici (circa 11,75 millimetri). La canna è rigata e permette un tiro utile fino a circa 140 metri. In condizioni ottimali con pressione del serbatoio al massimo, anche maggiore.
E’ presente una bacchetta che tuttavia non ha funzione di calcatoio ma solo di strumento di pulizia.
Il Windbüchse ha immediatamente riscontrato interesse dalla corte di Vienna che lo adottò per alcuni corpi di tiratori scelti tirolesi. Entrò in uso già nel 1780 ed ebbe massimo impiego tra il 1788 e il 1791 nella guerra austro-turca e in quella contro i prussiani. Durante quest’epoca il fucile veniva dato in dotazione in numero di 6/7 esemplari per battaglione a tiratori scelti dei reparti di cacciatori austriaci, denominati appunto Windbueschjaeger.
Sono inoltre stati ordinati 30 fucili da parte del generale Alvinczy nel 1796 durante la prima campagna d’Italia dei quali però non si conosce la sorte. L’uso sistematico di questo fucile contro le truppe napoleoniche non è verificato, tuttavia fonti delle memorie dei Tiratori Scelti Tirolesi dicono che Napoleone stesso diede ordine che qualunque soldato nemico ne venisse trovato in possesso fosse in loco passato per le armi.
Oltre ai vantaggi già descritti sull’uso delle armi ad aria compressa, la retrocarica permetteva al tiratore di caricare da sdraiato sollevando solo il fucile in verticale e permettendo al colpo di posizionarsi per gravità.
La facilità della ricarica e l’ingegnosità del meccanismo permetteva al tiratore esperto di tirare fino a 20 colpi al minuto. La rapidità di tiro e la possibilità di farlo in maniera silenziosa e difficile da identificare rendeva l’arma perfetta per imboscate e attacchi di sorpresa mirati a colpire ufficiali e figure di riferimento al fine di destabilizzare reparti nemici.
Per ricaricare si inclina la canna verso l’alto e poi premendo il bottone di metallo che sporge dalla sinistra dell’arma si muove il “selettore” che riceve la palla in caduta dal serbatoio per forza di gravità e, dopo aver rilasciato il bottone, torna nella posizione iniziale di riposo grazie alla molla posta sulla destra, allineando così la palla con la canna.
Per armare il fucile si mette il cane in monta (quello del Girardoni ha tre scatti) che non percuote alcunché ma apre il serbatoio dell'aria compressa e ne dispone la quantità necessaria all'espulsione del proiettile. Per fare fuoco si preme il grilletto.
I pregi di questo fucile erano certamente molti rispetto ad un avancarica, ma non possiamo dimenticare che una ricarica completa manuale del serbatoio di aria richiedeva 1500 azionamenti della pompa manuale fornita ai cecchini (20 minuti almeno, la logistica dell’esercito aveva in dotazione anche una pompa a vapore molto più rapida situata generalmente all’accampamento). Inoltre la guarnizione che sigillava lo spazio tra il serbatoio e il fucile stesso era troppo fragile, come il serbatoio stesso, e richiedeva una manutenzione eccessiva per un fucile ad uso militare.
Ad ogni soldato armato di Girandoni erano forniti per la battaglia: fucile con caricatore e serbatoio, 2 serbatoi carichi di riserva (oltre a quello montato) e quattro caricatori extra (per un totale di 110 colpi realizzabili). Una volta scaricati i serbatoi una staffetta correva alle pompe montate su ruote portate con dei carri in prossimità del fronte per la ricarica (più rapide di quelle manuali). E’ evidente dunque che l’equipaggiamento non è inferiore rispetto a quello di un normale fuciliere dotato di avancarica.
Scrisse Giuseppe II “E’ necessario che il semplice soldato, la cui intelligenza è generalmente piuttosto limitata, sia addestrato appena riceve l’arma e che questo addestramento sia fornito in singole parti e non tutte in una sola volta”. In pratica l’Imperatore sottolinea come la necessità dell’addestramento specifico sia chiave per un’arma così delicata e particolare. Il suo ultimo ordine in tal senso fu di “selezionare i soldati più abili e promettenti per usare queste armi”.
Nel 1789 il Duca di Colloredo, Generale d’Artiglieria, scrive ““A causa del modo in cui sono state costruite, queste armi erano molto più difficili da usare di quelle normali, cosicché andavano maneggiate con molta più cautela e attenzione. Inoltre i soldati che le usavano andavano supervisionati con estrema cura, essendo poco sicuri sulle operazioni da compiere. Queste armi divennero inservibili dopo pochissimo tempo – tanto che in breve non più di un terzo di queste erano ancora utilizzabili. Abbiamo bisogno dell’intero inverno per ripararle e sostituirle.”
Da questi dati si può vedere quanto questo fucile fosse avanzato per la sua epoca e pur tuttavia la difficoltà della produzione e la sua fragilità furono i fattori determinanti per i quali questo fu messo da parte in favore di fucili a pietra focaia meno complessi e più resistenti già nel 1815.
Una curiorità: Lewis e Clark scelsero proprio dei fucili Girardoni per la loro Spedizione alla scoperta dei territori selvaggi dell’Ovest degli Stati Uniti tra il 1804 e il 1806 in cui infine raggiunsero via terra la costa del Pacifico.
Per informazioni: acrimperi@gmail.com
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