Come noto, il 1848 fu un anno di moti e rivoluzioni che sconvolsero l'intera Europa: il definitivo crollo del sistema di equilibri e confini definiti dal Congresso di Vienna (1814-1815).
Fu proprio il Congresso a sancire la nascita del bicefalo Regno Lombardo-Veneto, grossomodo definito dall'unione della Lombardia austriaca di Maria Teresa con i territori appartenuti alla Serenissima Repubblica di San Marco; il Regno forniva circa 1/3 delle entrate erariali dell'Impero absburgico e rappresentava una importante fetta della popolazione e del patrimonio culturale e artistico.
Per questi e altri motivi, il Lombardo-Veneto era considerato un territorio chiave dagli austriaci, quindi da proteggere.
Sin dalla sua costituzione nel 1814, società segrete, circoli intellettuali e moti anti-occupanti costituivano continue minacce per la stabilità della più florida provincia imperiale.
Fino al '48 però i moti rappresentavano prevalentemente solo delle minacce locali di portata ridotta; nessuno si sarebbe aspettato ciò che accadde in città come Milano o Venezia.
A seguito delle famose Cinque Giornate di Milano, due corpi di volontari lombardi si gettarono all'inseguimento degl'austriaci di Radetzky in ritirata; una delle due armate era comandata dal noto patriota italiano Luciano Manara.
Una volta raggiunta Salò i Crociati (così erano chiamati i volontari per la croce rossa cucita sulle loro casacche) s’impadronirono di alcuni battelli a vapore e, nonostante l'ordine fosse di incominciare l'invasione del Trentino, Manara decise di mandare una spedizione di 400 uomini verso Lazise, attraversando il lago al comando del maggiore Agostino Di Noaro.
La notte del 10 Aprile le imbarcazioni arrivarono a Cisano, appena fuori Lazise, e cominciarono da lì la discesa verso ciò che oggi è chiamata “la bresciana”, ovvero la strada che collega Verona con Brescia, passando per la munitissima Peschiera.
I volontari decisero quindi di arroccarsi presso Castelnuovo del Garda, all'epoca Castelnovo, prendendo possesso di 500 barili di polvere nera dalla polveriera in località Confine e catturandone il presidio di 72 uomini. 16 di questi, di nazionalità croata, furono scortati a Salò; gli altri, italiani del 43° reggimento Geppert, si unirono ai Crociati.
I ribelli, dovendo scegliere se optare per il versante verso Verona o per quello di Peschiera, decisero di difendere il secondo, considerata la direttrice più pericolosa vista la prossimità; inoltre catturarono alcuni soldati del 38° Haugwitz che si trovavano nei pressi del borgo in cerca di approvvigionamenti.
Nel frattempo Alessandro Barolo, deputato comunale, si diresse a Salionze, dove si trovavano stanziate delle truppe austriache, per informarle dell’arrivo delle truppe del Noaro, tradendo il sostegno inizialmente promesso loro.
I Crociati furono colti alla sprovvista dalla tempestiva risposta austriaca: una colonna di 2500 uomini comandata dal generale Thurn und Taxis partì la mattina dell’11 Aprile da piazza Bra, in Verona. Aiutante di campo dell’aristocratico generale era il veronese Girolamo Salerno.
La colonna austriaca comprendeva: due compagnie del 38° imperialregio Reggimento di fanteria Haugwitz, un battaglione del 27° imperialregio Reggimento di fanteria Piret, un drappello di cavalleggeri del reparto del Principe Windischgrätz e la 4° batteria a piedi (6 cannoni e alcuni razzi).
Le ostilità si aprirono quando in vicinanza del fiume Tione l'avanguardia della colonna austriaca iniziò a subire il fuoco delle vedette lombarde: venne impartito l’ordine di formare delle Plankerkette (linee di tiragliatori) in attesa dell'avanzata dei cannoni, i quali, una volta giunti, misero in fuga le pattuglie d’avanguardia con dei colpi a mitraglia.
Arretrando nel paese i volontari iniziarono a bersagliare il nemico dalle finestre delle abitazioni e dai tetti, spingendo quindi gl'austriaci a decidere di utilizzare i cannoni e i razzi per stanarli.
[endif]--I cannoneggiamenti incominciarono e già con i primi colpi oltre ad alcune case venne abbattuto il campanile della chiesa parrocchiale; poco dopo le avanguardie lombarde, sotto bombardamento, si ritirarono, lasciando gli uomini rimasti indietro a fronteggiare il 38° che avanzava con la baionetta inastata.
A seguito di ulteriore fuoco proveniente dai tetti, venne impiegata nuovamente l'artiglieria, che, secondo il rapporto austriaco, innescò una serie di incendi in molte case.
Una volta che i Crociati ebbero abbandonate le abitazioni, la colonna austriaca si divise, effettuando una manovra a tenaglia: il grosso dell'Haugwitz venne mandato sul fianco sinistro del paese ed il Piret sul destro. Le fanterie penetrarono rispettivamente verso il centro mentre una riserva dell'Haugwitz procedeva verso la chiesa.
A seguito di questa manovra i lombardi abbandonarono la torre viscontea nella quale di erano rifugiati e lasciarono le posizioni ripiegando verso Lazise dove l’indomani si re-imbarcarono.
Il Taxis decise che non era necessario inseguirli e si accampò nei pressi del paese radunando le truppe.
Le perdite furono di 4 morti, 7 feriti, 1 disperso e 1 cavallo ferito per l’armata austriaca, mentre di 150 morti, 46 prigionieri e 2 feriti per i Crociati.
L'Eccidio
Castelnuovo è tristemente celebre anche per il massacro perpetrato quell'11 Aprile da parte degl'austriaci; tuttavia ancora oggi non ci è dato sapere cosa precisamente accadde quel giorno.
Le poche fonti dei superstiti sono solo relativamente attendibili in quanto probabilmente distorte dalla propaganda risorgimentale; parimenti le fonti austriache presentano delle distorsioni che paiono voler giustificare le vicende: il Taxis ci dice infatti che il fuoco venne alimentato dal vento serale e fornisce una stima ingigantita del numero dei lombardi (parla di circa 5-6000 uomini, andando cosi a creare qualche dubbio sulla veridicità del suo stesso rapporto).
Un particolare interessante di questo è l’affermazione che i civili vennero costretti dai Crociati a costruire le barricate, andando così in contrasto con la descrizione della necessità di punire gli abitanti di Castelnuovo per aver dato supporto volontario alle truppe di Manara.
Secondo poi Daniele Manin, celebre per la vicenda della Repubblica di Venezia (1848-49), la barbarie fu così atroce da spingere alcuni soldati dell’Haugwitz (di reclutamento mantovano) a minacciare i commilitoni di aprire il fuoco contro di loro se non avessero cessato le brutalità.
Una delle fonti più famose è il racconto scritto da Don Tommaso Netti, il quale ci riferisce di una serie di violenze compiute fra le quali fucilazioni, uccisioni e angherie di ogni genere e persino la profanazione della chiesa. Lo stesso Netti però non era presente e riporta la testimonianza del successore di Don Oliosi, allora parroco di Castelnuovo.
A fine giornata, i corpi dei caduti, civili e militari, vennero raccolti in quella che oggi è denominata “Piazza della strage” e bruciati per evitare la diffusione di malattie.
Sebbene sia ancora difficile stabilire cosa accadde precisamente, fu chiaro già allora il messaggio di Radeztky: il giorno dopo, il 12 Aprile 1848, le truppe austriache vennero fatte sfilare per Verona, con i bottini delle razzie e con Don Oliosi prigioniero condotto a dorso di asino e vestito da crociato, come monito per la cittadinanza nel caso avesse deciso di dare supporto ad altre iniziative anti-austriache.
Truppe austriache
circa 2500 uomini
Truppe volontarie
circa 450 uomini
Vittime civili
oltre 40 su circa 2800 abitanti
Vittime austriache
4 morti, 7 feriti, 1 disperso
Vittime crociate
150 morti, 2 feriti, 46 prigionieri
Case bruciate
126 su172
RIPRODUZIONE VIETATA
Bibliografia e fonti
- Giovanni Gagliardi, “La distruzione di Castelnuovo”, 1970;
- Francesco Vecchiato, “Il 1848 tra Castelnuovo del Garda e Salisburgo”, 1998;
- Anonimi, ”Miserando eccidio di Castelnovo dalla barbarie austriaca”, 1848;
- Tommaso Netti, “Castelnuovo e gli austriaci nel 1848”, 1888;
- Carl Schoenals, “Memorie della guerra d’Italia di un veterano austriaco”, 1852;
- Giovanni Solinas, “Verona e il Veneto nel Risorgimento” 1966.
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