A fare di Verona città patrimonio dell’UNESCO non è solo il suo centro storico, pregno della monumentalità degli antichi romani, ma anche una caratteristica architettonica veramente unica, ovvero la considerevole stratificazione urbana ottenuta con l’occupazione della città nel corso dei millenni da differenti realtà sociopolitiche. Dagli insediamenti dell’età del bronzo fino alla prima forma di città sotto la Repubblica di Roma, da capitale scaligera a città provincia dell’impero d’Austria.
Tutti questi passaggi di potere hanno lasciato tracce evidenti nell’urbanistica veronese in forma di mura militari, di ben sette epoche diverse, che mostrano la linea evolutiva dei principali sistemi di difesa cittadina antecedenti al XX secolo.
Tutto questo denota l’importanza militare che ha sempre avuto Verona, arrivando fino all’Ottocento come perno centrale del Quadrilatero austriaco, sistema di quattro città fortificate realizzato al fine di proteggere i confini meridionali dell’impero.
Durante le guerre napoleoniche, nel 1801, il fiume Adige e Verona facevano da confine tra Francia e Austria, e per questo la situazione in città fu drammatica. In quell’anno la cinta muraria veneziana venne appositamente danneggiata dai francesi, timorosi di un attacco asburgico alla città scaligera, che poteva essere utilizzata come testa di ponte per superare l’Adige. L’esercito francese così decise di danneggiare Castelvecchio, i castelli di San Felice e San Pietro, e di distruggere i bastioni e le rondelle delle mura alla fortificazione alla moderna sulla riva sinistra dell’Adige.
Con l’ordinanza del 7 Termidoro dell’anno IX (25 Luglio 1801), il colonello capo del Genio Gerolamo Rossi fu incaricato di mettere in atto i lavori di demolizione, che durarono sei mesi e richiesero l’utilizzo di oltre 54.000 kg di polvere da sparo. Alla conclusione di questi lavori risultarono risparmiati solamente i bastioni di Spagna e di San Francesco, gli unici utilizzabili per il fuoco di artiglieria sulla sponda opposta del fiume.
Il governo austriaco, che nel 1815 aveva ottenuto Verona con la fine delle guerre napoleoniche, decise di non riparare subito il sistema murario cittadino. Non mancava di certo l’interesse e l’intenzione di farlo, ma le invasioni napoleoniche e le guerre scaturite avevano danneggiato l’economia dell’impero, di base principalmente agraria, e impedivano quindi di impegnarsi in una così costosa operazione.
Il primo ad interessarsi alla questione veronese fu l’Arciduca Giovanni e in seguito anche lo stesso imperatore Franz I, in vista del Congresso di Verona del 1922. Tali interessi rimasero solamente intenzioni, perché a smuovere la situazione furono le rivolte di Parigi del 1830, 15 anni dopo la presa di Verona. Per timore di un ritorno della “rivoluzione francese”, il Consiglio Aulico di Guerra acconsentì allo sviluppo di un temporaneo progetto di difesa del territorio tra il Mincio e l’Adige, con la messa in opera di forti temporanei e ripari in terra e legno.
Nel 1831 allo staff del Feldmaresciallo Radetzky si unì l’architetto militare Franz von Scholl, assunto al ruolo di Direttore del Genio da campagna. Egli condivise con Radetzky il bisogno di trasformare Verona in una piazzaforte a campo trincerato, e in un’importante base logistica per l’esercito asburgico nel Lombardo-Veneto. Questo progetto era stato ideato con la duplice funzione di poter essere utile sia a scopo difensivo, per mettere a riparo un’intera armata, e anche offensivo, per poter slanciare il proprio esercito in una eventuale campagna militare. Difatti tale idea si rivelò indovinata e favorevole nella Prima Guerra d’Indipendenza d’Italia.
Con un decreto imperiale, nel 1833 si istituì quindi a Verona la “Refestigungs-Bau-Direction” (Direzione dei lavori di fortificazione), alla cui guida fu posto lo stesso von Scholl. L’intervento dei lavori consisteva nella riparazione ed ammodernamento di tutte e due le cinte murarie cittadine, sia quella di epoca veneziana e sia quella di epoca scaligera, riservando ovviamente un occhio di riguardo alla cinta quasi del tutto demolita dai francesi.
La prima fase dei lavori avvenne tra il 1833 ed il 1839, e in tale periodo Franz von Scholl progettò la nuova cinta alla destra dell’Adige. I bastioni sanmicheliani di Spagna e San Francesco vennero solamente restaurati, invece di essere sostituiti da sistemi più all’avanguardia, forse come forma di rispetto verso il noto architetto veronese.
Per il resto della cinta fu creato un nuovo tracciato, sull’impronta di quello veneziano, dove si preferì anche per questioni economiche integrare quando possibile le vecchie mura veneziane nel nuovo sistema difensivo. Questo fu fatto risparmiando nella costruzione di altre mura, inoltre non eliminando, ma riutilizzando, le macerie e le fondamenta dei vecchi bastioni, che avrebbero richiesto tanti fondi e manodopera e soldi. Ciò che fu riutilizzabile venne inglobato nelle nuove opere di terra dei parapetti delle artiglierie, dall’inclinazione delle scarpate di 34°. Come abbiamo avuto occasione di imparare nel nostro incontro con l’architetto Fiorenzo Meneghelli, le postazioni in terra vennero realizzate seguendo una stratificazione di diversi materiali utili a mantenere salda l’opera, e via via che si saliva si fece comprimere la terra più volte lungo la lavorazione.
Come già detto, si limitò la realizzazione di nuove mura alzando solo il necessario, ovvero mura alla Carnot. Rispetto ai muraglioni veneziani erano mura basse e sottili, e si trovavano all’interno del fossato per essere coperte da tiri di artiglieria diretti e per proteggere i bastioni di terra da possibili incursioni. Realizzate a sacco, le mura avevano una copertura esterna in tufo veronese, ad opus poligonale.
Questo gusto estetico richiama le “mura ciclopiche” arcaiche delle cittadine di fondazione preromana, specialmente di Formia e Fondi (in provincia di Latina), che Franz von Scholl aveva osservato nel 1821 durante la spedizione militare austriaca nel Regno di Napoli. Le mura a sacco vennero chiuse superiormente col posizionamento di lastre di pietra, impedendo all’acqua piovana di infiltrarsi dentro il muro e di danneggiarlo dall’interno, sciogliendone la malta. Per dar compattezza al muro, all’interno di esso furono realizzati dei, nicchioni, i quali ospitano feritoie per tiri di fucileria.
Il nuovo tracciato dei bastioni, formato dalle mura alla Carnot, presenta delle caponiere di testa e degli orecchioni ai lati. Queste sono strutture realizzate per la difesa del fossato e delle facciate delle strutture murarie. Così vennero realizzati i bastioni della Trinità, dei Riformati, di Santo Spirito, di San Bernardino, di San Zeno e di San Procolo, che nel 1866 contavano in totale 70 bocche da fuoco, più le due presenti al contrafforte della Catena, sulla sponda opposta del bastione di Spagna. I progetti furono realizzati con il lavoro di 4000 operai, che in alcune stagioni aumentavano anche di numero.
La seconda fase dei lavori, molto meno invasiva, interessò la sponda sinistra dell’Adige tra il 1837 ed il 1842, senza la presenza di Franz von Scholl, in quanto egli morì nel 1838. I lavori vennero diretti da Johann Hlavaty, ed erano mirati al restauro e all’ammodernamento delle strutture preesistenti, specialmente quelle di Castel san Felice, delle torri scaligere, di porta San Giorgio e di Campo Marzio.
Castel san Felice, oltre a ricevere il restaurato dei bastioni, chiamati dai veronesi “punton” per via dei danni provocati dai francesi, ricevette in aggiunta un rivellino. Questo, fu addossato a “punton nuovo” e venne armato da quattro bocche da fuoco per coprire il fianco destro del castello. Nel 1866 l’opera di San Felice arrivò ad essere armata di 18 pezzi d’artiglieria, suddivisi in postazioni in barbetta e postazioni in casamatta, che sono postazioni d’artiglieria al chiuso.
Vennero ricostruiti i torrioni della Grotta e di San Zeno in Monte, aggiungendo inoltre postazioni in casematte, mentre i bastioni di Santa Toscana, della Bacola e delle Bocare vennero riparati e rimessi in funzione.
Fu aggiunto, inoltre, un mezzo bastione vicino alla rondella di san Giorgio e Porta San Giorgio, che permetteva in caso di necessità l’allagamento del fossato a diamante di fronte ai due bastioni. Dal 1837 vennero rinforzati i bastioni delle Maddalene e di Campo Marzio, e venne costruita Porta Vittoria Nuova, poi difesa da un’opera in casamatta a due piani ed esterna. Questa struttura, chiamata batteria Pellegrini, non esiste più in quanto è stata demolita per la realizzazione della strada di Lungadige Galtarossa e Lungadige Porta Vittoria.
Bibliografia
G. Perbellini, L. V. Bozzetto, Verona, la piazzaforte ottocentesca nella cultura europea;
L. V. Bozzetto, Verona, la cinta magistrale asburgica;
V. Jacobacci, La piazzaforte di Verona sotto la dominazione austriaca 1814-1866.
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