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L. Danieli

GLI UFFICIALI ED IL DIFFICILE RAPPORTO COL BEL MONDO

La felicità di un ufficiale al servizio imperiale è un tema ampiamente trattato nella memorialistica almeno quanto è presente nell'immaginario collettivo. E' infatti diffusa convinzione che la condizione degli ufficiali fosse una garanzia di serenità economica, di stabilità e di conseguente felicità, almeno per la maggioranza dei casi. In realtà, analizzando vasti campioni di storie e memorie lo scenario è molto più eterogeneo anche se è possibile costruire degli schemi che riassumono dei temi ricorrenti.


Anzitutto il primo tratto che inficiava sulla condizione di benessere degli ufficiali era il luogo in cui prestavano servizio. Fino al 1859, prima della cessione della Lombardia al Regno di Sardegna e della piena comprensione dell'inevitabilità di una ritirata pressoché totale dall'Italia in pochi anni -come effettivamente fu-, il grosso delle truppe asburgiche era stanziata nel Lombardo Veneto e negli stati vassalli della monarchia dell'Italia centrale.



Il Bel Paese era un fronte caldo: i continui atti di guerra e tensioni potevano significare opportunità di distinguersi, quindi di essere promossi sotto le insegne del Feldmaresciallo semi-eterno, il Conte Radetzky. La figura dell'anziano comandante era molto più che benvoluta e prestare servizio sotto di lui era considerato un onore e un privilegio.

L'aspetto negativo del servizio in Italia era l'isolamento sociale: la nobiltà e i ceti più elevati boicottavano i militari austriaci, in parte anche a causa delle minacce e pressioni che ricevevano dai crescenti irredentisti e patrioti italiani. Per questo gli ufficiali visitavano solo alcuni determinati caffè ed erano confinati entro le mura delle guarnigioni. Altro fattore da non trascurare era il caldo: fino al 1855, in cui fu introdotta la tenuta estiva in tela, gli ufficiali dovevano indossare sempre l'uniforme in panno di lana, pressoché insopportabile sotto il torrido sole estivo italiano.


Dopo la perdita del Veneto del 1866, il Sud-Tirolo divenne la principale linea difensiva contro il Regno d'Italia e questa regione divenne per gli ufficiali della monarchia una delle mete più ambite dove prestare servizio: oltre alle temperature più miti, la popolazione era cordiale e ritenuta estremamente pulita e civile -sia la componente Welsch (italiana) che tedesca-.




Ovviamente la meta più ambita rimase sempre Vienna. Non era insolito che i diplomandi delle scuole militari scegliessero i reparti in cui inserirsi cercando di indovinare quello che sarebbe stato mandato per i 5 anni di guarnigione nella capitale - come accadeva ciclicamente ad ogni reggimento-. Vienna aveva l'eccezionale condizione di offrire agli ufficiali un biglietto convenzionato e un settore dedicato all'Opera e al Burgtheater. Questo trattamento era una gratificazione dell'Imperatore, in quanto mecenate dei due grandi teatri, che imponeva però la tenuta da parata in perfetto stato e l'obbligatorietà di restare in piedi durante gli spettacoli.


Vienna offriva inoltre a tutti gli ufficiali, senza distinzione di grado, la partecipazione gratuita all'evento più ambito dell'Impero, l'Hofball, il ballo di corte, in cui si poteva sperare di scorgere l'Imperatore, i più alti dignitari e, soprattutto di ballare con qualche contessina o baronessa (anche se la prassi era che agli ufficiali fosse ordinato di ballare con le donne più anziane). Il privilegio dell'Hofball era stato concesso da Maria Teresa ed era considerato alla stregua del sacro diritto di chiedere udienza al Kaiser in persona: entrambi onori inalienabili e distintivi del corpo degli ufficiali.



A prescindere tuttavia dalla provincia in cui prestavano servizio, coloro i quali erano in contesti urbani alternano la lagnanza alla vanteria sull'obbligatorietà del prender parte alle principali feste danzanti al punto che alcuni ufficiali si definivano delle "Tanzmaschinen" -degli automi della danza-.

Resta memorabile il caso di un giovane ufficiale che in ventotto giorni prese parte a trentadue feste da ballo, impresa davvero notevole se si tiene conto che i balli in genere si protraevano fino all'alba e che alle sette del mattino, ciascun ufficiale doveva presentarsi in servizio. Vero è anche che il servizio per un ufficiale occupava una parte decisamente ridotta della giornata, dalle 7 alle 11 e dalle 14 alle 17.


Tra i balli, quelli più impegnativi -che furono da alcuni definiti delle "vere e proprie orge"- erano quelli della scuola di equitazione dell'artiglieria, i cosiddetti balletti rosa.


La partecipazione ai balli, oltre all'aspetto ludico, consentiva agli ufficiali di evadere dalla monotonia del servizio di guarnigione e soprattutto di poter sperare di prendere al laccio una fidanzata abbastanza benestante da poter pagare la cauzione matrimoniale.


Altri svaghi erano il teatro -soprattutto di varietà- e i caffè, dove si stava anche tutta la notte a bere, giocare a carte e ad ascoltare gli aneddoti degli ufficiali anziani (era considerata una mancanza imperdonabile andarsene prima dei "Vecchi"). Il gioco, in immancabile binomio col bere, era praticamente un obbligo e per molti fu un vizio e una rovina. Il tabagismo, d'altro canto era immanente nella popolazione maschile e, prevalentemente, non era considerato un lusso esclusivo. Se ad esempio in teoria era proibito fumare in strada (a Milano vi era una legge del 1821 che tuttavia venne raramente applicata e velocemente dimenticata), nei caffè sigari e pipe erano onnipresenti e anzi promossi in quanto gli introiti per lo stato dal controllo monopolistico del fumo erano enormi.



La vita quotidiana degli ufficiali fuori dalla guarnigione o dagli alloggi era definita da una rigida etichetta descritta in numerosi manuali applicati rigorosamente: quando era opportuno fare visita ad una famiglia, come ringraziare per un invito a pranzo (sui pranzi seguirà una riflessione specifica in un articolo successivo), sull'importanza del biglietto da visita da lasciare, sul dove lasciare sciabola e copricapo, sul cosa dire e cosa non dire in una conversazione, tenere le posate, su quanto fermarsi etc. Ad ogni regola corrispondono poi le sue violazioni: son tutte vicende realmente accadute quelle di ufficiali che facevano il tiro al bersaglio coi lampioni a gas, che facevano il bagno nudi nelle fontane sotto lo sguardo delle accompagnatrici dell'occasione, che rompevano il mobilio di qualche elegante caffè o che si coricavano nella mangiatoia del presepe della piazza cittadina al posto del Bambin Gesù dopo una solenne sbronza. Poteva trattarsi tanto di ricchi ufficiali di cavalleria quanto di spiantati annoiati di milizia: gli eccessi venivano sistematicamente coperti e poi puniti esemplarmente nei Reggimenti, persino con l'incarcerazione.


La felicità dipendeva anzitutto dalla capacità economica. Nonostante le retribuzioni, pochissimi erano gli ufficiali non aristocratici che potevano davvero spassarsela e i piaceri della mondanità, in quanto rari e da gestire con cautela, erano beni preziosi e ambiti di cui nessun ufficiale si privava a costo di indebitarsi.


Gli ufficiali asburgici erano tra i peggio pagati del continente -seguirà un approfondimento sulla capacità di spesa dei militari- ma ciò non fu per la scarsa considerazione che avevano ma per la natura con cui nacque il sistema militare: nonostante di fatto fossero dei dipendenti stipendiati dallo Stato, gli ufficiali infatti consideravano il servizio come parte di un onere nobiliare e un privilegio e ammettevano di essere stipendiati statali con la stessa malavoglia con cui lo Stato li pagava.

Se la paga, ai tempi di Maria Teresa era stata ricalcolata e ben commisurata allo stile di vita degno di un ufficiale, solo per brevissimi archi temporali essa fu adeguata. Escluso il 1809 (momento della massima gloria militare degli ufficiali dell'Arciduca Carlo) e il 1815 (in cui la paga fu raddoppiata per consentire al corpo di avere un'aspetto dignitoso al cospetto dei dignitari del Congresso di Vienna), la paga e l'inflazione non andarono mai di pari passo e a metà degli anni '50, la paga di un tenente era pari, se non inferiore, a quella di un operaio specializzato o di un artigiano NON specializzato. Era perciò sempre arduo trovare il compromesso tra lo stile di vita che ci si aspettava da un ufficiale imperiale e la sua effettiva capacità economica con conseguenze spesso disastrose.


Gli ufficiali erano endemicamente afflitti dai debiti: i cronisti non lesinano su queste narrazioni. Ciò che stupisce oggi però è l'unità e la solidarietà dimostrata dal corpo nel suo complesso: se la gente del popolo non faceva distinzioni tra un ufficiale e l'altro per le malefatte, il corpo stesso pretendeva che ciò non avvenisse perché non ammetteva che dei suoi membri ne risultassero isolati. Persino il più povero sottotenente che stentava a mantenere un aspetto dignitoso ed elegante era pronto a sguainare la sciabola in difesa dell'onore e della dignità di un altro ufficiale, magari molto più economicamente stabile. Le invidie, pur certamente presenti, non arrivavano a compromettere il senso dell'onore.

Era questa unità del corpo a portare all'esaurimento dei meno abili a destreggiarsi, in quanto nessun ufficiale era disposto a sopportare il disonore di macchiare l'immagine degli altri. Chi aveva buon senso e poche risorse conduceva una vita ritirata e tendenzialmente oziosa, mentre gli altri dovevano, a prescindere dal denaro disponibile nei borselli, tenere alto l'onore e l'immagine del corpo: un ufficiale non poteva pranzare nei ristoranti popolari, non potevano viaggiare fino agli anni 60 su vetture a nolo o omnibus, non potevano usare la terza classe dei treni e nemmeno trasportare pacchetti (purché non fosse evidente che si trattasse di cioccolatini o bonbon).




Ogni ufficiale doveva contribuire a mantenere la banda reggimentale e a rifornire la biblioteca e il circolo del reggimento. Se la paga, già scarsa, non bastava, i più poveri arrivavano a vendere la legna e il carbone che gli veniva corrisposto dall'esercito o rinunciavano ai pasti nei ristoranti o nelle costose mense militari in favore di lunghe dignitose passeggiate. L'uniforme essenziale veniva fornita dall'esercito ma veniva decurtata dallo stipendio fino al saldo (un quarto di paga al mese). Poteva capitare inoltre che l'assemblea degli ufficiali di un Reggimento si accollasse il debito di uno dei loro per salvare l'immagine di tutti. Insomma le spese non mancavano e se si poteva avere l'illusione di una buona paga, alla fine in tasca restava ben poco, soprattutto per i bassi ufficiali.


In conclusione: il rapporto tra il corpo degli ufficiali e il mondo della mondanità era in bianco e nero, alcuni lo vivevano appieno, altri lo rifuggivano per non esserne travolti.


Per dare peso e vivida concretezza a quanto scritto in precedenza, trascrivo un capitolo del libello edito nel 1819 "IL SOLDATO OSSIA DOVERI MORALI DI UN SOLDATO" in cui un padre scrive vari capitoli tematici in cui inanella le proprie esperienze vissute sotto le armi con le conclusioni a cui è giunto.


Il capitolo in oggetto è quello dedicato ai doveri del soldato in guarnigione, ma trattandosi l'autore di un ufficiale, descrive in maniera piuttosto efficace buona parte delle considerazioni generali riportate in precedenza.


Buona lettura!

Io ho viaggiato nell' interno di varj Regni, sono stato di guarnigione in Fortezze che appoggiavano Città rispettabili, ed ho conosciuto per esperienza il divario che passa tra la condizione di un soldato in tempo di guerra, e la condizione di un soldato in tempo di pace.


Parlando di quest' ultima ti narrerò in succinto ciò che a me è accaduto. Gli errori di tuo Padre serviranno di scorta e di lume a' tuoi portamenti. In tali circostanze io divenuto Ufficiale aveva per il mio rango l'accesso ad ogni luogo ; non v' era brillante conversazione a cui non mi portassi, non v'era Teatro che io non frequentassi, non v' era Spettacolo di qualche conto , a cui non intervenissi ; dovunque gradito e stimato sembrava trovarmi come in un nuovo mondo estremamente diverso dai campi di guerra.


Si andava infievolendo il mio coraggio, mi compiaceva di un vivere delicato, e qualche amorosa affezione sorprendeva di quando in quando il mio cuore.

In tale stato di cose contrassi amicizia con un certo Ufficiale veterano , il quale mi esibì un quartiere molto comodo in sua casa, e convenni di seco lui vivere alla sua mensa pagando le mìe mesate. Questi era un uomo di buon umore , e toltone qualche accesso di collera, mi sembrava irreprerjsibile la sua condotta. Egli si occupava di Geometria, di Matematiche, di Geografia, disegnava sovente delle fortificazioni, dei tagliamenti di fiumi, deviazioni di acque, mine sotterranee ; formava piante di nuove Fortezze, assegnava loro il luogo e si dilettava di crederle inespugnabili.

Io mi rideva di tante sue occupazioni, ed egli al contrario si prendeva giuoco di me, e de' miei passatempi; sovente mi diceva sorridendo:

- Ben tornato, suppongo, dalla brillante conversazione della Marchesa di A., ditemi in confidenza quanti inchini avete fatto alla Marchesina Nuora? Come vi ha gentilmente corrisposto? E la SignoraT. loro indivisibile compagna quante volte vi ha imbalsamato il cuore co' suoi dolci e replicati sospiri? Quali sono stati i trattenimenti di questa gioconda Assemblea? Avete avuto in sorte di giocare col conte F. e colla Baronessa di G. ? Sonosi scomposti dalla consueta loro gravità nel vincere qualche partita, hanno essi mostrato mal' umore perdendola? Era seco voi la Damina del Conte C ? Vi siete scordato della vostra generosità, ovvero avuto avete il barbaro cuore da farvi rigorosamente pagare le vostre partite, non curando la ristrettezza delle di lei finanze ?

Altre volte mi diceva:

- Condiamo un poco la nostra comune cena con qualche utile e proficua notizia da voi appresa in questo giorno, abbiate compassione di me povero solitario o eremita che io mi sia; Datemi le nuove del gran Mondo; siete stato al Caffè degli St . . . ? Avete lette le Gazzette? probabilmente avrete inteso che la Principessa di C. ha dato alla luce un terzogenito maschio o femmina che sia, e quindi ordi nate delle feste, moltiplicate delle visite, designati i Padrini del Battesimo, dati dei rinfreschi , e dei pranzi di trenta o quaranta coperte? Avete udito, o letto che all'aspettato arrivo di sua Maestà il Rè di . . . nella nostra Capitale vi sarà gran gala in corte , e si faranno molte promozioni nel Civile e nel Militare? ... se ciò è vero, come vi siete ingalluzzato di speranze? Ditemi la verità, e prestatemi i mezzi acciocchè ancor io formar possa qualche castello in aria a mio favore. Ma a dirvela schiettamente, essendo io troppo ruvido, e voi troppo galante, se non ottenete a nostro comune vantaggio la valevole protezione di qualche Madama, vi assicuro in verità che ambidue resteremo al secco ...

Ritornando talvolta a notte avanzata in quartiere, ei mi si faceva scherzevole incontro con dirmi:

- Già voi sapete che io sono dotato del dono di profezia, scommetto che voi venite dal Teatro di B. ma che prima siete stato alla conversazione della contessa di T. ove si tagliano molto bene i panni addosso alle persone. La povera Signora di R. che ha avuta la disgrazia di essere la prima ad esporsi colla nuova cuffia ad uso di Parigi, come è stata bene sferzata! Non è forse vero che si è detto di lei in queste o simili parole, che Vuol dar legge alla Città sulle mode? Che non conta ancora tre gradi di nobiltà? che è una testa bizzara ? che suo marito può contarsi fra i buon uomini del secolo che si lasciano condurre pel naso dalle loro mogli, e che ha quindi rovinate le sue finanze? ... e nel Teatro? Oh qui si che sonovi cose d' importanza! ditemi un poco: la più celebre cantatrice M. G. ha nulla perduto per questi venti sciroccali della melodiosa sua voce? fra i replicati evviva le si è fatta ripetere la nota toccante Arietta? Ditemi avete veduta a cadere dagli occhi degli astanti qualche lagrimuccia di tenerezza? E la troppo famosa prima Ballerina quanti battimenti di mano ha riscossi? hanno per lei sudati i Poeti con qualche improvviso Elogio? Mi sapreste dire quali sieno i Magnati della Città che si danno l' alto onore di corteggiarla? Sapete nulla di certe gelosie, che vanno serpeggiando , e che potrebbero fra non molto divenire serie?...


Queste frequenti prediche in istile ironico mi facevano di quando in quando rientrare in me stesso, ed andava sovente dicendo nel secreto del mio cuore, da quante frascherie mi trovo io circondato; non sarebbe ora di finirla? Ma sentivami talmente infiacchito di forze che sembravami di non poter scuotermi da questo incantesimo di frivolezze. Per buona sorte un impensato accidente mi diede una forte spinta, e mi riscossi.

Frequentava io la più brillante conversazione della Città ove per il suo spirito primeggiava e per le sue attrative Madamigella G. Questa era appassionatamente corteggiata da tre giovani Ufficiali di rango, che mi onoravano della loro amicizia e confidenza. Scaltra che essa era dava ad intendere a ciascheduno di questi in particolare che il di lei cuore era per lui solo, e che riguardo agli altri non usava che urbanità e cortesie convenevoli alla di lei nascita, dalle quali non si poteva dispensare. Ognuno di loro inesperto e gonzo si dava a credere con certezza di possedere il cuore di questa, e di ottenere finalmente gli sponsali. Senza che l'uno sapesse dell' altro mi facevano alternativamente la più segreta confidenza delle delicate espressioni di Madamigella , delle di lei proteste, e de' di lei giuramenti in suo favore, mi confidavano le lettere ed i biglietti amorosi nei quali io leggeva sovente , con mia sorpresa, in ciascheduno quasi le stesse parole. Allora sì che vi fu d'uopo di tutta la mia prudenza per non compromettere e gli Amici, e questa sleale Zitella; nel fondo solo del mio cuore, allora quando riceveva anch'io da essa qual che cortese attenzione, non poteva dispensarmi di dire : quanto sei tu leggiadra di portamento, quanto sei avvenente di volto altrettanto sei perfida di cuore!


Mi andai adunque allontanando da questi e simili luoghi, e fui introdotto in una unione semi-pubblica di uomini che s'intrattenevano per lo più in discussioni politiche. La società di questi Barbassori, sebbene un po' ruvidetta, incominciò a piacermi per la militar libertà con cui si parlava delle leggi, e di quasi tutti i Governi dell' Europa, senza però insultarne veruno in particolare.




Nel tempo stesso staccandomi bel bello dal gran Mondo non mi dispensava di portarmi talvolta in qualche casa onorata, o condottovi da miei Amici o introdottovi da me stesso , ed allora fu che io vidi per la prima volta tua Madre, addocchiai questa Figliuola che viveva sotto la cura di una rigida Zia, e mi compiaceva di mirarla tutta intenta ai donneschi suoi lavori che non le impedivano però una certa contegnosa affabilità; osservava di sovente che non si sdegnava di associarsi alle serve di casa nelle domestiche triviali facende, e che ilare e modesta mostrava in ogni occorrenza una ingenuità di parole e di tratto ben rara nel sesso donnesco.


Le mie circostanze d'allora esigevano in certo modo che io m'impegnassi in un matrimonio; quindi ne scrissi , com'era mio dovere, al tuo buon Avo e mio caro Padre , da cui n'ottenni l'assenso. Tu ben sai come per lei costantemente si è conservata la più gioconda pace nella nostra famiglia; tu non ignori la saviezza della educazione, che ti ha essa data, le sue premure, le sue vigilanze domestiche, il suo contegno rispettoso e tenero, fermo e condiscendente a seconda delle occasioni; la sua pietà non puerile, ma soda, non affettata, ma since ra , e sempre eguale a se stessa in ogni evento.


Tu adunque non voler imitare i trappassati miei errori, ma bensì il prudente discernimento di questa ultima mia scelta. Non fra le gaje e celebri conversazioni, non nei Teatri, non tra le danze devi tu ricercar la tua sposa; cerca quella che non ti cerca, non ti lasciar abbagliare dai vezzi e dalle avvenenze, ma t'innamorino le qualità del cuore specialmente la modestia, l'ingenuità, l'amore al ritiro, ed alle domestiche occupazioni.


Io ho sempre odiato i matrimonj volgarmente denominati politici, ho fatte delle serie riflessioni sopra le si frequenti funeste riuscite della più gran parte dei maritaggi, e vivo persuaso di averne trovati i motivi, nel non essere cioè queste conjugali unioni nè naturali, nè Cristiane, non naturali, perchè destituite della simpatia de' cuori , della conformità del pensare, della convenienza delle abitudini; non Cristiane, perchè precedute sovente da lunghi e perigliosi amoreggiamenti, da sconvenevoli libertà, e da fini più che brutali.

Sovente si veggono ancora, e più spesso fra i Grandi del secolo , due giovani sposi che non mai o quasi non mai si viddero ed amarono, accostarsi all'Altare legandosi con un nodo indissolubile, vittime infelici immolate al l'avarizia ed ai pregiudizj. Di qua ne vengono pur troppo, quasi immantinente, tante dissensioni, tanti contragenj, tante infedeltà, tante separazioni scandalose al popolo minuto, e funeste alla figliale educazione, che terminano bene spesso colla rovina totale dei costumi e delle sostanze.

Non voglio dire per questo che l'eguaglianza delle condizioni nei matrimonj , ed una dote proporzionata valutabili non sieno e desiderabili , ma intendo soltanto d' insinuarti che queste qualità sono di minor peso, e meritano l' ultimo dei tuoi sguardi. Avverti però in qualunque caso che una dote vistosa e grande porta seco delle grandi spese e sovente delle più grandi pretensioni, e che in una sposa l' eccellenza delle qualità morali e la massima ferma di limitare i proprj desiderj alle circostanze, formano una grande addizione alle sostanze paterne dello sposo, ancorchè queste fossero un poco al dissotto della mediocrità.

Io mi tengo per ricco e per grande, perchè contento della presente mia condizione nulla desidero di più di quello che io possiedo: l'amore sincero e vicendevole, la pace inalterabile, la pratica delle virtù domestiche e cristiane che regnano in mia casa, coll'aggiunta di quelle poche comodità che io debbo a' miei Antenati mi formano quella specie di felicità che io posso pretendere in questa Terra.


L. Danieli


Per informazioni: acrimperi@gmail.com



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